L’immagine perfetta dei sorteggi dei Mondiali 2026 è semplice: le altre nazionali sorridono davanti al tabellone definitivo, mentre noi italiani guardiamo il nostro posto nel Gruppo B come si guarda un regalo incartato senza sapere se è davvero per noi.
Siamo lì, ufficialmente inseriti tra Canada, Svizzera e Qatar, ma con la postilla che ci ricorda quanto siamo bravi a complicarci la vita: “solo se superiamo i playoff”. È un po’ come essere invitati a cena, ma con il cameriere che ci chiede il biglietto all’ingresso e aggiunge che forse è quello sbagliato.
L’ironia è che abbiamo un girone sulla carta abbordabile. Non è però una conferma reale, e già questo basterebbe per definire l’intero panorama della nazionale negli ultimi 10 anni. Intanto gli altri fanno piani, noi facciamo calcoli su chi dovremo battere prima ancora di essere ammessi alla festa.
L’Italia e il suo girone immaginario mentre i playoff bussano alla porta
Il bello, se così vogliamo chiamarlo, è che il girone non sarebbe neppure male. Canada generoso ma non imbattibile, Qatar che non è esattamente un mostro sacro e la Svizzera, quella che abbiamo affrontato così spesso negli ultimi anni che potremmo invitarla a Natale. Insomma, un gruppo che farebbe tirare un sospiro di sollievo se solo fossimo già qualificati. Peccato che, prima di immaginare passaggi del turno, incroci strani e possibili incubi agli ottavi, ci tocchi affrontare la realtà: il 26 marzo affronteremo l’Irlanda del Nord.
Purtroppo non ci giochiamo la qualificazione in novanta minuti o oltre perché, pochi giorni dopo, ci sarà la finale contro Galles o Bosnia. Due partite che sembrano semplici solo a chi non ha visto le nostre recenti performance.
Mentre le altre nazionali pubblicano foto contente dell’esito del sorteggio, noi continuiamo a vivere nella sospensione emotiva tipica di un popolo che ormai al “vediamo come va” ha dedicato un’intera identità sportiva.
Un Mondiale che ci aspetta, forse, e una squadra che deve decidersi a crescere
La parte più tragicomica è vedere gli addetti ai lavori analizzare il nostro ipotetico percorso come se fosse già scritto. I giornali stranieri studiano match-up, statistiche e possibili sorprese, mentre noi ci chiediamo ancora se riusciremo a sbarcare sul suolo statunitense.
Eppure, paradossalmente, se dovessimo davvero qualificarci, potremmo pure toglierci qualche soddisfazione: avversari alla portata, nessuna superpotenza immediata sul cammino e un torneo che, per la prima volta nella storia, sembra volerci offrire una via d’accesso non infernale.
Il problema resta sempre lo stesso: ci arriveremo? Tra ansie, ricordi dolorosi e quel talento tutto italiano di complicare ciò che dovrebbe essere lineare, l’unica certezza è che nulla sarà banale. Forse è questo che rende il nostro rapporto con la nazionale un equilibrio perfetto tra passione e masochismo calcistico. Per ora resta l’attesa, la speranza e quel girone che ci guarda da lontano come per dire: “Muovetevi, perché non posso aspettarvi per sempre.”