Serie A

Il calcio italiano si prepara a una svolta epocale. Mentre le squadre si godono le vacanze estive, a Roma si sta cucinando una riforma che potrebbe cambiare per sempre il volto della Serie A. L’obiettivo? Trasformare il nostro campionato in una macchina da soldi come la Premier League inglese.

Via la Legge Melandri, arriva il “monopolio”

La notizia che sta facendo tremare i palazzi del calcio è semplice: il governo vuole buttare nel cestino la Legge Melandri del 2009 e permettere a un solo operatore di trasmettere tutte le 380 partite di Serie A. Addio quindi al sistema attuale che divide le gare tra DAZN (7 partite) e Sky (3 in co-esclusiva).

La logica è quella del business puro: se un broadcaster deve pagare per avere tutto il pacchetto in esclusiva, è probabile che metta sul tavolo molti più soldi. Il sogno della Lega è raggiungere il miliardo di euro annui, cifra che farebbe gola a chiunque.

I soldi? Si dividono meglio (forse)

L’idea è rivoluzionare anche come vengono spartiti i ricavi tra i club. Oggi il 50% va diviso equamente, il 28% va ai più bravi in campo e il 22% considera fattori come i tifosi allo stadio e l’audience TV.

Il nuovo sistema punterebbe tutto su tre pilastri: una fetta ancora più grande (oltre il 50%) distribuita uguale per tutti, una parte basata sui meriti sportivi e un’altra dedicata a chi investe sui giovani italiani. Insomma, meno disparità tra ricchi e poveri, più meritocrazia sportiva.

Il problema? La Serie A è in crisi di appeal

Dietro questa mossa c’è un’amara realtà: il calcio italiano sta perdendo appeal. I numeri parlano chiaro: Juventus, Inter, Milan e Roma dipendono dai diritti TV per il 50-65% dei loro ricavi. Il Real Madrid? Solo il 40%. Il Bayern Monaco? Appena il 24%.

Peggio ancora, in Serie A il divario tra il club più ricco e quello più povero è di 3 a 1, mentre in Premier League è solo di 1,6 a 1. Risultato? Partite spesso scontate e un campionato meno competitivo.

I tifosi non ci stanno

Sui social è già scoppiata la rivolta. L’idea di affidare tutto a un solo operatore spaventa i tifosi, che temono prezzi ancora più folli di quelli attuali. “Chi sarà disposto a pagare più di 20 euro al mese per vedere un campionato spesso noioso?”, si chiedono in molti.

Anche la Lega Serie A ha fatto sapere di non gradire, lamentandosi di aver saputo tutto dai giornali senza essere consultata. Un bel modo di fare politica, insomma.

La sfida del futuro

La sensazione è che si stia giocando una partita cruciale per il futuro del calcio italiano. Da una parte c’è la necessità di fare cassa e ridurre le disparità, dall’altra il rischio di alienarsi ulteriormente i tifosi con prezzi da capogiro.

La vera sfida non è solo cambiare le regole, ma rendere di nuovo appetibile un prodotto che sta perdendo smalto. Perché, anche se dovessimo copiare il modello inglese, senza lo spettacolo della Premier League, i conti potrebbero non tornare comunque.

Di Petrus

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