Ci sono sconfitte e sconfitte. Quelle che bruciano perché hai giocato meglio dei tuoi avversari, sulla carta superiori, ma vuoi per sfortuna o errori clamorosi sottoporta, alla fine devi inchinarti. Poi ci sono quelle in cui entri in campo senza effettivamente esserci con la testa e con le gambe e prendi imbarcate pesanti da mandare giù. Se succede in una partita di campionato, hai tutto il tempo per recuperare. Dicasi lo stesso in un match andata e ritorno di coppa, anche se le probabilità di riuscirci sono poche. Ma in una finale di Champions…
È quello che è successo all’Inter ieri sera al cospetto di un PSG in palla, organizzato, forte in ogni reparto, sontuoso per lunghi tratti della partita. Undici assenti ingiustificati, più quelli che sono subentrati dalla panchina. Colpa della stanchezza accumulata dopo 58 partite tra campionato e coppe varie? Oppure le ragioni sono da ricercare altrove? Eppure anche i parigini avevano giocato 57 partite prima della finale.
Gli “ingiocabili” sono diventati giocabili
Mi viene in mente un film datato 1972 “Storia di fifa e di coltello – Er seguito d’er più”. Il grande Franco Franchi, indossando il cappello del defunto er più/Celentano, da coniglio si trasformava in guappo di quartiere privo di paura. Forse ieri sera a Monaco di Baviera sarebbero serviti undici di questi cappelli magici. Sufficienti ad alzare la coppa dalle grandi orecchie? Probabilmente no, ma almeno il passivo sarebbe stato meno pesante.
Il calcio è un mondo a parte, lo sappiamo. Il coraggio e la determinazione sono fondamentali fino a un certo punto. Altre cose servono, in primis l’umiltà. Beh, forse il concetto di “ingiocabili” che in troppi avevano fatto loro è stato controproducente, sia ieri sera che in campionato, Coppa Italia e Supercoppa italiana. A dirlo sono anche le tre dita mostrate da Inzaghi più o meno due mesi e mezzo fa a un giornalista che chiedeva se l’Inter puntava al doblete.
Più demeriti di Inzaghi o meriti di Luis Enrique?
Vincere non è mai facile, perdere invece lo è. Soprattutto se pensi di poter andare fino in fondo in tutte le competizioni con la rosa più vecchia d’Europa. I demeriti di Inzaghi sono maggiori quindi dei meriti di Luis Enrique & Co.? 40% contro 60%.
Il tecnico piacentino, a un certo punto della stagione, doveva accorgersi che a diversi sui giocatori mancava la benzina. Oppure se n’era accorto ma non si fidava dei panchinari per fare un po’ più di turnover? È l’ipotesi più vicina alla verità.
Al di là di ogni possibile spiegazione razionale che giustifichi una prestazione allucinante da parte dei nerazzurri, restano i cinque gol sul groppone. Nessuno dei tifosi interisti dimenticherà mai questa disfatta, mentre la storia della Champions si arricchisce di un nuovo record (mai nessuno aveva perso con un passivo così pesante).
Dalla gloria alla disfatta il passo è a volte breve, ma quello per l’ecatombe totale è lungi dall’esserlo. Zero titoli in una stagione che tutti si aspettavano trionfale: di materiale per meditare ce n’è.